venerdì 28 novembre 2008

A proposito di behavioral advertising

In un post di qualche mese fa ho lanciato un sasso nello stagno e i cerchi concentrici che ha generato la provocazione sono stati - come prevedevo - numerosi. Come ricorderà chi ha letto l'articolo, ho segnalato che negli Stati Uniti ormai si sta affermando la tendenza a controllare il comportamento dei consumatori che, per strada, vedono un manifesto pubblicitario. Una telecamera nascosta scruta le espressioni dei passanti, osserva se e da cosa è attirata l'attenzione: in pratica, spia la reazione del consumatore di fronte al messaggio non indirizzato.


Mi sembra un dato rilevante da tenere presente nell'odierno dibattito sulla relazione tra tutela dei dati personali e attività di marketing.


Per capire la tendenza in atto aggiungo ora una seconda provocazione: riguarda internet e l'uso che viene fatto dei nostri dati personali. Lo spunto è tratta da un bell'articolo recente di Luca Annunziata e pubblicato da Punto Informatico, a commento di uno studio recente commissionato dal New York Times.

In pratica, ogni comportamento sul web è tracciato: basta navigare per finire schedati, classificati e indicizzati, per trasformarsi da individui a semplici numeri, per diventare merce e non essere più comuni cittadini della rete. Lo rivela uno studio, commissionato dal
New York Times, che solleva il velo su numeri per certi versi inaspettati.

L'azienda più interessata ai comportamenti dei suoi utilizzatori è Yahoo!: il portale esegue ogni mese su ciascuno dei propri utenti almeno 2.520 operazioni, per capirne gusti, abitudini, preferenze e via dicendo. E lo fa ogni volta che transitano sui suoi server o visualizzano la sua pubblicità.

Il secondo posto è occupato da MySpace con 1.229 operazioni ogni 30 giorni. Terzo classificato nella graduatoria degli osservatori del web è Time Warner AOL, grazie a 610 episodi per utente legati all'associazione di informazioni provenienti da sito e pubblicità. Google è quarta con informazioni carpite 578 volte ogni ciclo lunare, tallonato da Facebook (525), mentre più staccate risultano Microsoft (355), Ebay (201) e Amazon (87).

Ultimo classificato, secondo lo studio del NY Times, è Wikipedia, che raccoglie informazioni personali appena 16 volte al mese sui suoi navigatori.

Poco curiosi sembrano anche editori tradizionali come lo stesso New York Times (che osserva i suoi lettori "solo" 45 volte al mese), NBC Universal (38) e Condé Nast Publications (34). Come osserva Luca Annunziata nel suo articolo - "
a "penalizzare" questi ultimi è soprattutto la mancanza di un network pubblicitario come quello di Yahoo! e Google, vera miniera d'oro di informazioni: queste ultime non arrivano solo dalle ricerche effettuate o dai video visualizzati, ma anche (e in maniera tangibile) dalle informazioni raccolte grazie alla presenza dei banner sparsi in tutta la rete".

Ovviamente di fronte a questa tendenza i giudizi possono essere vari. Ma è indubbio che la realtà con la quale fare i conti è questa: l'obiettivo ormai chiaro per le società che intendono comunicare con i consumatori è raccogliere i dati necessari a costituire le banche dati su cui strutturare campagne di
behavioral advertising, pubblicità basata sul comportamento dei consumatori, che quindi vanno tracciati, monitorati e spiati nelle loro condotte.

Ed è proprio questo il punto: se la pubblicità diventa sempre più modellata sul comportamento individuale, dobbiamo chiederci se le norme poste a tutela della libertà di scelta individuale sono adeguate ed efficienti rispetto ai diritti individuali che devono essere tutelati.

Tutto bene? Direi di no, anzi mi viene spontanea la domanda: come la mettiamo con la privacy individuale? Ha senso continuare a parlare di privacy se il numero di tracciamenti inconsapevoli dei nostri comportamenti individuali aumenta continuamente, come dimostra il caso del manifesto pubblicitario di New York e la ricerca del New York Times sulla tracciabilità in internet?

Aggiungo quindi questa nuova provocazione che penso solleciterà le vostre osservazioni, e in un prossimo post affronterò queste domande, alla luce delle leggi vigenti e delle prospettive di sviluppo futuro.