sabato 9 dicembre 2017

Da Londra a Frittole il valore dei dati: un Data Dollar o un Fiorino?|

di Marco Maglio

Questa storia comincia nel Regno Unito nei giorni nostri e finisce a Frittole, paese immaginario, nel 1492. 

A Londra nella zona di East London's Old Street Station dal settembre 2017 è stato aperto un negozio particolare che sta facendo parlare molto di sé. Si chiama “The Data Dollar Store”. Vende gadget e prodotti di ogni tipo, illustrati con i disegni di un artista di strada. Sono prodotti di design, lo stile dell’autore è apprezzato e spesso per entrare a comprare le sue realizzazioni si formano lunghe file di acquirenti che diligentemente aspettano il loro turno perché gli spazi di vendita sono limitati. Fin qui tutto normale, direte. Il fatto è che quando la coda finisce e si entra in negozio, dopo aver scelto l’oggetto più adatto e ci si presenta alla cassa estraendo dalla tasca il portafogli o la carta di credito per pagare ci si sente dire questo dal commesso: “We do not sell for money, we want your data!”. “Non vendiamo per soldi. Vogliamo i tuoi dati”.

La frase è perentoria, sorprende e colpisce nel profondo. Ci dice che ormai i nostri dati personali non sono più solo informazioni strumentali, cioè il mezzo attraverso il quale ci vengono inviati messaggi che tengono conto dei nostri interessi. I dati sono diventati molto di più: sono una merce, un bene giuridico, una materia prima, sono l’essenza stessa della persona. In sintesi: i dati valgono e sono una merce di scambio, valgono esattamente come le valute più pregiate, sono, appunto Data Dollars. Non deve stupire quindi se diventa possibile pagare ciò che ci interessa con le nostre fotografie, le nostre conversazioni su Whatsapp, le nostre mail, le nostre cronologie di navigazione in internet. Proprio così. Le informazioni che ci riguardano sono interessanti per gli altri e hanno un valore. Se volete vedere di che si tratta non occorre attraversare la Manica. Basta un click e raggiungere l’indirizzo del sito qui. Filmati e post spiegano meglio di molte parole cosa sia questa iniziativa.

Per chi non ha tempo di fare un giro a Londra o nel web, spiego rapidamente cosa c’e dietro “The Data Dollar Store”. Anche se tutto quello che vi ho raccontato è rigorosamente vero, e quindi chi vuole può effettivamente cedere i propri dati ottenendo in cambio oggetti artistici messi in vendita in un negozio reale, non ci vuole molto acume per rendersi conto che questa in realtà è un’abile iniziativa di marketing virale messa in piedi dalla Kaspersky Lab. E’ un laboratorio di idee che fa parte del Gruppo che produce uno dei software antivirus più diffusi nel mondo e che si occupa da molto tempo della sicurezza dei dati e del web. L’obiettivo di chi ha creato The Data Dollar Store è di far riflettere le persone sul fatto che i dati personali sono preziosi e che valgono molto. Eppure la gran parte di noi non se ne rende conto e fornisce i suoi dati in cambio di servizi, che si propongono come gratuiti. In realtà noi li paghiamo con le informazioni che generiamo, usandoli.

Il successo dell’iniziativa di Kaspersky è quindi duplice: da un lato ha attirato l’attenzione di molti sul fatto che i dati sono ormai diventati una valuta vera e propria, dall’altro aiuta a diventare consapevoli del fatto che la protezione dei dati personali è essenziale, proprio come la protezione del nostro denaro. Non a caso il pay off della campagna di lancio del negozio di cui vi ho parlato, è questo: “Your data is valuable. Protect it.” “I tuoi dati sono preziosi. Proteggili”. I nostri dati, quelli che si collegano alle userid e alle password che caratterizzano tutte le nostre azioni quotidiane, sono ormai diventati come una chiave. Aprono le porte che ci permettono di accedere ad aspetti essenziali della nostra vita: il nostro conto in banca, i nostri messaggi di posta elettronica, le nostre fotografie.

Ci avviamo verso un futuro prossimo nel quale i nostri dati personali saranno sempre di più la chiave che ci permetterà di accedere ad una piattaforma di straordinari servizi. E proprio perché i dati sono diventati la chiave di accesso ai servizi che ci offrono tutto ciò che desideriamo, dobbiamo imparare a custodirli con cura, evitando che finiscano nelle mani sbagliate. Esattamente come le nostre chiavi di casa.

Anche per questo le leggi che proteggono i dati personali sono importanti e ci aiutano a sentirci davvero liberi.

Ma tutto questo, più che al futuro, a me porta a pensare al passato, a quel mondo fatto di frontiere, dazi, gabelle e vincoli in cui le domande classiche che venivano poste a chi voleva attraversare gli sbarramenti erano, a pensarci bene, quesiti tutti rivolti ad acquisire dati personali.

Ve lo ricordate "Non ci resta che piangere", quel film degli anni 80, ambientato a Frittole, un immaginario paesino della campagna toscana nel 1492? Penso alla scena in cui la guardia di confine  poneva ai viandanti che si avvicinavano per varcare la frontiera le classiche domande:
  
"Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate?"
Era una raccolta di dati personali a tutti gli effetti. E, strana coincidenza, il trattamento di questi dati si concludeva con la riscossione del valore che quei dati avevano generato per chi li aveva raccolti: Un fiorino!
Cambiano i tempi e cambiano i metodi ma la morale resta sempre la stessa: i dati valgono.
Teniamoli da conto. Trattiamo bene i nostri dati .  Non maltrattiamoli. Non so se questo ci aiuterà ad essere più liberi, ma almeno ci eviterà di dire: Non ci resta che piangere!