sabato 29 settembre 2007

Di cosa parliamo quando parliamo di privacy?

SI SCRIVE PRIVACY, SI LEGGE DATA PROTECTION

Di cosa parliamo quando parliamo di privacy? Me lo chiedo sempre più spesso negli ultimi tempi, ascoltando i dibattiti che si sviluppano con crescente frequenza sull’invadenza dei media, sulle intercettazioni telefoniche e sugli obblighi che gravano sulle imprese a causa di questa materia. Ora credo di essere arrivato ad una conclusione: c’è un equivoco terminologico di fondo ed è essenziale chiarirlo. Usiamo male le parole e, come nella Torre di Babele, rischiamo di non capirci più nulla. Mettiamo un po’ d’ordine.

La parola privacy evoca un complesso di regole che sono state emanate nel corso degli anni a partire dalla fine del 1800 per proteggere la riservatezza individuale. La privacy è , in questo senso, il diritto ad essere lasciati soli. Lo inventò Louis Brandeis, qui nella foto, insieme a Samuel Warren, scrivendo un articolo intitolato "the right to privacy" pubblicato sulla Harvard Law Review nel dicembre 1890. Il diritto ad impedire che gli altri entrino nella nostra sfera privata. Quando chiediamo di veder rispettata la nostra privacy chiediamo di essere lasciati in pace. Si tratta di un diritto sacrosanto, che riguarda uno degli aspetti essenziali della vita sociale ed è importante che venga rispettato.

Poi però esiste un altro aspetto che spesso viene qualificato usando lo stesso termine. Ci si riferisce al fatto che le notizie possono essere pubblicate con estrema facilità e circolano in modo immediato (oggi la tecnologia rende semplice ciò che fino a pochi anni fa era impossibile). Anche in questi casi si parla di privacy e si dice che i giornali sono troppo invadenti e che non è giusto che le intercettazioni telefoniche relative a questo o a quel personaggio pubblico vengano trascritte e pubblicate su tutti i giornali. “Si viola la loro privacy” viene detto dai soliti moralisti. Ma in realtà in questi casi bisognerebbe parlare di un'altra cosa: bisognerebbe preoccuparsi del rapporto che deve esistere tra il diritto di cronaca e il diritto dei personaggi pubblici a non far conoscere fatti relativi alla loro vita. Negli Stati Uniti parlano, guarda l’ironia delle cose, di “ right of publicity”, che in un certo senso è il contrario di quello che diciamo noi, cercando di far entrare questi argomenti nel grosso libro della privacy. Secondo questa impostazione la comunità ha diritto di conoscere i fatti dei loro concittadini che vogliono essere personaggi pubblici. Altro che privacy! C’è, dicono negli Stati Uniti, un diritto alla pubblicità dei fatti che riguardano le persone note. E’ il prezzo da pagare per chi vuole essere un personaggio pubblico. All’estero non si discute. E’ un fatto scontato. In Italia no. Si parla di privacy e nascono gli equivoci.

Esite poi un terzo aspetto, che è quello che personalmente mi interessa di più. E’ la situazione che si crea quando si parla di privacy, a proposito degli adempimenti che la legge pone a carico delle imprese che vogliono trattare i dati personali dei loro clienti, potenziali clienti, dei dipendenti, dei fornitori. E’ ancora una volta un equivoco che genera effetti collaterali assai fastidiosi. Anche in questo caso la riservatezza delle persone non c’entra nulla, o quanto meno non è l’aspetto essenziale del problema. Ma vi sembra che abbia senso parlare di riservatezza nel rapporto tra un cliente ed un fornitore? Non ha senso. E infatti il legislatore non si è preoccupato di garantire la privacy del consumatore quando riceve un messaggio postale indirizzato dall’azienda che vuole vendergli, per esempio, un libro. In questo senso la privacy non c’entra ancora una volta nulla. La legge vuole invece che i dati personali, l’indirizzo, le preferenze, le abitudini di consumo delle persone vengano trattati dalle aziende con regole certe che permettano di evitare abusi e che garantiscano il diritto della persona ad esercitare un controllo sulle informazioni che lo riguardano. In modo che se non desidera più ricevere messaggi promozionali lo possa fare in modo semplice, veloce e senza costi.

Non è quindi una questione di privacy. E’ un problema che attiene invece al trattamento dei dati personali ed alla loro protezione. Non a caso all’estero quando parlano di questi temi usano un’espressione precisa che rende molto chiaro l’ambito del discorso: si parla di data protection che con la privacy ha relazioni lontane e assai labili.

Ma in Italia questo tema non è stato affrontato. Si preferisce parlare sempre e solo di privacy e in questo modo, rischiamo di venire annegati dai mille paradossi di un tema che sta sommergendo ogni dettaglio della nostra esistenza. Sarà bene ricordarcelo per evitare di naufragare in questo mare di privacy.

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